Slow Food – Carlo Petrini: «Se l’Italia perde le botteghe, noi perdiamo l’Italia per come la conosciamo».
Nell’era della globalizzazione si inizia sempre più spesso a guardarsi intorno per comprendere quale sarà il futuro delle piccole attività. Periodi di crisi e ricerca del risparmio, uniti alla mancanza di desiderio di contatto umano, fanno si che acquistare on line sia più semplice e meno faticoso. E poi, forse per curiosità o per moda, ecco i grossi centri commerciali dove trascorrere, magari, una domenica pomeriggio per poi, finire, con l’effettuare qualche acquisto abbagliati dal luccichio delle luci quasi sempre a festa. Ed infine, pensando al recente Natale, dove sempre meno, in città e paese l’aria di festa si respira a differenza di un lontano passato, ecco che si sfugge dai posti vicini per fare acquisti dove il clima è più “caldo”.
Tutta questa situazione che, a guardare distratti, sembra che non rompa nessun equilibrio, in realtà ha gettato tutti in un tunnel che sembra non avere una luce alla sua fine.
“Passeggiando per la mia piccola città nei giorni precedenti il Natale – ha scritto su internet Carlo Pedrini, fondatore di Slow Food – saltavano agli occhi negozi, solitamente presi d’assalto per gli ultimi regali, molto più vuoti, e il consueto brulicare dei ritardatari del dono un po’ meno intenso. Per contro, a dominare strade e marciapiedi erano i furgoni dei corrieri, trafelati nel distribuire a domicilio pacchi e pacchetti. Il segno dei tempi”.
Ciò che sta cambiando è l’aspetto stesso delle nostre città e della nostra socialità. Se con l’epopea dei supermercati e degli ipermercati abbiamo svuotato i nostri centri storici per riversarci in capannoni periferici pieni di ogni ben di dio, oggi, trent’anni dopo, assistiamo a una nuova trasformazione epocale. Il consumo abbandona la dimensione della relazione diretta tra chi compra e chi vende per diventare una pratica eterea, che annulla la distanza tra un clic sulla tastiera di un pc o di uno smartphone e la materializzazione dell’oggetto fisico.
Carlo Pedrini
“Eppure, dietro la facilità di acquisto e la consegna immediata esiste un mondo a tinte fosche -ha scritto ancora Pedrini. Da una parte sorgono magazzini centralizzati giganteschi per soddisfare necessità di stoccaggio e di “prossimità” alla consegna sempre più impellenti. Un sistema di distribuzione ad alto impatto ambientale per le migliaia di chilometri imposti da consegne polverizzate e aggravato dall’incidenza dei resi gratuiti. Dall’altra nasce un nuovo sottoproletariato delle consegne, un esercito di facchini e corrieri impiccati da tempi di delivery stabiliti da algoritmi infallibili e costretti a ritmi di lavoro impressionanti. Multinazionali tassate meno dell’edicolante sotto casa o, addirittura, fiscalmente domiciliate all’estero per limitare al minimo il prelievo fiscale”.
A farne le spese sono le nostre città. Siamo di fronte a un vero e proprio bollettino di guerra quotidiano: librerie, alimentari, tabaccherie, edicole. L’elenco delle attività che ogni giorno chiudono o vedono scricchiolare la propria stabilità è lungo e in continua crescita.
Carlo Pedrini
“Se l’Italia perde le botteghe, noi perdiamo l’Italia per come la conosciamo. Se le nostre città perdono i centri storici, non restano che enormi sobborghi residenziali. Se noi perdiamo le nostre relazioni di vicinato, non restiamo che individui consumatori. Per fortuna un ruolo da giocare ci resta, e può essere quello di protagonisti. Non per arrestare un processo che è storico e probabilmente ineluttabile, ma per dirigerlo e ripensarlo affinché sia positivo e promettente per tutti”.