Coronavirus, 100mila mucche e maiali in zona rossa
Con l’emergenza coronavirus sono circa 500 le aziende agricole e le stalle confinate insieme a centomila mucche e maiali negli undici comuni della zona rossa fra Lombardia e Veneto a causa dei provvedimenti restrittivi adottati in aree a forte vocazione agricola tra allevamenti, seminativi, vigneti, agriturismi e cantine. E’ quanto emerge da un monitoraggio della Coldiretti che denuncia anche speculazioni sui prodotti, dal vino all’ortofrutta, che vengono dai territori più colpiti dai contagi con effetti sociali, economici ed occupazionali.
Nell’area rossa – sottolinea la Coldiretti – è necessario garantire una adeguata assistenza nelle stalle, alle strutture e agli animali, ma anche assicurare la disponibilità della forza lavoro nei campi con le necessarie deroghe per la movimentazione delle persone, del bestiame, degli alimenti deperibili, della produzione casearia con l’uscita degli automezzi con il prodotto trasformato verso piattaforme logistiche, impianti di confezionamento, stabilimenti di stagionatura e/o attività commerciali. Le difficoltà – continua la Coldiretti – si estendono in realtà all’intera area della pianura padana dove nasce oltre 1/3 del Made in Italy agroalimentare, direttamente condizionato dall’emergenza coronavirus nell’attività produttiva e commerciale.
A preoccupare – denuncia la Coldiretti – sono anche le speculazioni in attosui prodotti agroalimentari Made in Italy in alcuni Paesi dove vengono chieste senza ragione certificazioni sanitarie su merci, dal vino alla frutta e la verdura soprattutto provenienti dalla Lombardia e dal Veneto, ma ci sono state anche assurde disdette per forniture provenienti dalla rossa. La Coldiretti chiede misure di sostegno alle attività piu’ duramente colpite attraverso fondi per il crollo di presenze in agriturismo, sgravi fiscali e contributivi con il rinvio di pagamenti, compensazioni previdenziali delle giornate di lavoro perse e – conclude la Coldiretti – attivazione degli ammortizzatori sociali per i lavoratori nonché interventi per colpire le pratiche commerciali sleali che frenano le esportazioni ed un piano promozionale sulla sicurezza e qualità del made in Italy alimentare all’estero.
“Serve un impegno delle autorità nazionali e comunitarie per fermare pratiche insensate che rischiano di far perdere quote di mercato importanti alle produzioni nazionali per colpa di una concorrenza sleale che mira a screditare i prodotti dall’Italia che sono sani i garantiti come prima” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “si tratta di comportamenti ingiustificati che mettono a rischio la libera circolazione delle merci anche all’interno dell’Unione senza alcuna valida motivazione scientifica e vanno a colpire un settore strategico del made in Italy come l’agroalimentare che cresce all’estero ed esporta oltre 42 miliardi di euro”.